Nelle scorse settimane ci siamo soffermati a osservare le opere prime che, nel corso del 2017, hanno riscosso maggiori riconoscimenti nelle manifestazioni festivaliere nostrane e non. Con grande sorpresa abbiamo constatato come diversi esordi registici hanno ottenuto notevoli consensi di critica e pubblico, arrivando a rappresentare con autorevolezza il cinema italiano in Europa e oltreoceano. Si pensi soltanto a Cuori Puri di Roberto De Paolis, che ha cominciato il proprio percorso nella Quinzaine des Réalisateurs di Cannes, concorrendo quindi per la Caméra d’or, fino a diventare oggi il debutto più premiato del 2017. Rimanendo sulla Croisette, si può citare anche il caso di Annarita Zambrano, unica regista italiana donna della kermesse, il cui film di esordio Dopo la guerra conviveva in Un Certain Regard con Fortunata di Sergio Castellitto.
Qual è stato, però, il seguito di queste pellicole a livello distributivo? È ancora possibile corroborare il palmarés annuale di un film con il suo esito al botteghino? E, soprattutto, queste opere hanno goduto di ‘tirature’ e teniture sufficientemente adeguate?
Riprendendo l’esempio di De Paolis è d’obbligo ammettere un esito discreto, che non ha reso piena giustizia a un lungometraggio che, fino a pochi mesi fa, si contendeva con A Ciambra di Jonas Carpignano la nomina agli Oscar: quasi 140mila euro nelle prime tre settimane di programmazione non sono certo numeri banali per un prodotto uscito inizialmente in sole 50 sale. C’è tuttavia da interrogarsi sull’efficacia del piano promozionale del film, non sottovalutando il ruolo determinante che ha giocato il passaparola.
Esiste, senza dubbio, un abisso con quella che è, invece, l’opera prima che quest’anno ha sbancato maggiormente al box office, un film che ha ora un palmarés di gran lunga più scarno, ma che non tarderà nei prossimi mesi ad essere tra i candidati ai premi italiani di spessore: La ragazza nella nebbia dello scrittore Donato Carrisi, con oltre 3 milioni di euro totalizzati nelle prime cinque settimane. Una co-produzione Colorado/Medusa Film, con quest’ultima attiva anche come distribuzione, che a suo modo si è rivelato un caso. Nonostante l’ampia fanbase dell’autore e la presenza dei divi Servillo e Reno, non è stato certo un successo da banalizzare. Desta, infatti, non poche riflessioni il fatto che, al suo primo giorno in sala, il film abbia ben figurato al cospetto di ingombranti mainstream come Thor: Ragnarok e soprattutto It, posizionandosi al terzo posto. A questo si somma anche il grande merito di essere la pellicola italiana non commedia con più guadagni della stagione.
Parliamo di un gap che trova conferma non solo negli incassi ma, soprattutto, negli spazi di visibilità concessi alle singole opere. Ad avvalorare il tutto si possono enunciare svariati altri esempi, che coinvolgono anche la commedia, genere talvolta identificato come sinonimo di garanzia di incassi: c’è un divario non indifferente tra Moglie e Marito, l’esordio-switch identity di Godano targato Warner Bros., e Brutti e Cattivi di Cosimo Gomez, anche lui alla sua opera prima.
Un divario quantitativo e non qualitativo, dal momento che da un lato abbiamo un ottimo prodotto, funzionale anche per un mercato non domestico, e dall’altro una pellicola che è stata in lizza a Venezia nella sezione Orizzonti. D’altronde, anche qui, sono i numeri a parlare: non soltanto per il risultato al botteghino (gli oltre 2 milioni di euro dell’uno e i 550 mila totalizzati dall’altro), ma soprattutto per lo scarto distributivo, non così cospicuo ma comunque interessante, che li divide (più di 400 schermi hanno ospitato il body swap movie di Godano al suo primo week-end contro i 278 dell’irriverente dark comedy di Gomez). Chi vuole approssimare il tutto a una mera politica di ‘star system’ è senz’altro fuori strada, considerando che, se uno vanta nel cast Favino e Smutniak, l’altro si difende bene tra Santamaria, D’Amore e Serraiocco. Al netto di qualsivoglia pregiudizio, vista l’indubbia validità delle pellicole menzionate, è abbastanza palese che sussista ancora una discrepanza nel mercato (oltre che nell’industria). Si pensi semplicemente a un altro caso, quello di Manuel di Dario Albertini, terza opera prima più premiata dell’anno, che ha intrapreso il suo percorso festivaliero a Venezia e che in Italia non è ancora stata distribuita (ma in Francia sì).
A ciò si sommano, inoltre, le perplessità su alcuni investimenti dei principali broadcaster: ad esempio, sui quasi 700 mila euro di incassi di AFMV – Addio Fottuti Musi Verdi dei The Jackal, film che ha visto l’esordio alla regia di Francesco Capalbo, a fronte dei 2 milioni e 400 mila euro di budget. Un dato che, solo in parte, potrebbe avere a che vedere col valore intrinseco del film, ma rinnova lo scetticismo sull’effettiva efficacia di tali investimenti: quella dei The Jackal non sarebbe certo la prima débâcle delle web star sul grande schermo.
Basterebbe tornare indietro a Game Therapy dell’esordiente Ryan Travis con Federico Clapis e il gameplayer Favij, che, con tanto di Lucky Red alla distribuzione, ottenne nel 2015 un incasso di 1 milione e 259mila euro su 2 milioni di budget spesi, o al più recente flop di The Pills con Sempre meglio che lavorare, che ha superato appena i 500mila euro.
Quantità e qualità: due costanti che hanno sempre coesistito a fatica nel nostro cinema, ma che oggi chiamano in causa la necessità di aprirsi a nuove prospettive e opportunità. Convincersi, una volta per tutte, che esiste un ampio terreno fertile, su cui poter scommettere, fatto di sguardi e immaginari più ampi, sarebbe senz’altro un ottimo punto da cui poter ripartire.