Sono due anni, dal giorno in cui Giulio Regeni fu fatto sparire al Cairo per morire in qualche segreta, ammazzato da torture atroci che gli avevano lasciato indenne, come disse la madre, «solo la punta del naso». Oggi, ancora una volta, l’Italia civile si alzerà in piedi a fianco della sua famiglia per chiedere verità e giustizia, ancora lontane.
Il governo italiano invece ha già celebrato l’anniversario, a modo suo.
Lo ha fatto il 17 dicembre al Cairo, nell’incontro fra il ministro Minniti e il presidente Al Sisi che ha sancito il «nuovo forte patto» fra Italia ed Egitto per la stabilità in Libia, che all’Italia serve per bloccare le partenze dei migranti e condurre i respingimenti.
Lo ha fatto sempre a dicembre, quando l’Eni ha dato il via a tempo di record alle estrazioni di gas dall’enorme bacino sottomarino egiziano di Zohr, dopo solo due anni e mezzo dalla scoperta.
E a novembre, quando il ministro Alfano ha dichiarato il presidente egiziano un «interlocutore appassionato nella ricerca della verità», dopo il discorso a Sharm El Sheikh in cui Al Sisi aveva detto che Giulio Regeni sarebbe stato ucciso per colpire le ottime relazioni italo-egiziane.
Lo aveva fatto già ad agosto, quando aveva deciso di inviare di nuovo l’ambasciatore al Cairo mentre l’Italia, e il Parlamento, erano in vacanza. E per tutto l’anno, almeno se si guarda l’interscambio fra i due paesi, che è cresciuto del 30 per cento nel primo semestre del 2017.
Tutto ciò ha avuto per ora in cambio solo un dossier gigantesco da tradurre, che potrebbe anche contenere carte già note, un nuovo documento anonimo e voci su qualche nome forse coinvolto nel sequestro e la morte di Giulio.
Qualche settimana fa, abbiamo anche dovuto assistere al battage mediatico per trasformare la tutor egiziana di Giulio, che gli aveva commissionato la ricerca sui venditori ambulanti, come la vera responsabile morale della sua morte.
Ma in fondo, la parte più importante della verità si conosce già: Giulio Regeni è stato ammazzato dalla repressione e dal terrore che il regime egiziano distribuisce ogni giorno, a piene mani e finora in totale impunità. Non passa giorno in Egitto senza una sparizione forzata, un arresto arbitrario, un processo farsa, una morte in carcere.
Le associazioni dei diritti umani, i loro attivisti e dirigenti ancora liberi vivono in un regime di vessazione continua, aggravata dalla nuova legge contro le organizzazioni di società civile.
Eppure continuano a denunciare, testimoniare, elencare – una lista infinita di violazioni dei diritti contro i democratici, i sindacalisti, le donne, gli omosessuali, i blogger, i giovani, le minoranze.
Scompare chi cerca gli scomparsi, come è accaduto a Ibrahim Metwally, avvocato della associazione dei familiari dei desaparecidos, padre della prima vittima conosciuta di sparizione forzata, ritrovato poi in carcere a settembre, torturato con l’elettroshock.
Tra tre giorni, un tribunale speciale giudicherà, senza possibilità di appello, trentadue autorevoli esponenti dell’antico popolo nativo nubiano, solo per aver partecipato a una manifestazione. Uno degli accusati è morto in carcere per mancanza di cure.
Due potenziali sfidanti di Al Sisi alle prossime elezioni presidenziali previste a fine marzo sono stati condannati con accuse risibili, per impedire loro la possibilità di candidarsi. Uno di loro era stato ospite dell’Arci nella riunione nel maggio scorso a Roma presa d’assalto dalle spie di regime.
Un altro è stato arrestato appena rientrato in Egitto dagli Emirati Arabi dove risiedeva, e si è ‘volontariamente’ ritirato dopo il suo rilascio dalla prigione. A un altro viene negata qualsiasi sede pubblica per presentare il suo programma.
Per ora, neanche di fronte alla preparazione di elezioni truccate in partenza, si sono levate condanne da parte italiana, o dell’Unione Europea.
Pare sia questa la stabilità che insegue l’Europa nel Mediterraneo – il mare che ci ha fatto ciò che di buono siamo, e che ora è solo orrore e morte. E dunque anche per noi stessi, oltre che «per tutte le Giulia e i Giulio d’Egitto e del mondo», come dicono mamma e papà Regeni, non smetteremo mai di denunciare, di chiedere un cambio radicale della politica verso l’Egitto e il Mediterraneo.
E di ringraziare Giulio che, con solo la punta del naso, ci aiuta a ricordare la verità delle cose in questa parte del mondo – che è casa nostra.