Riforma dell’ordinamento penitenziario

Antigone: dal 5 marzo ne chiederemo l’approvazione

A cinque anni dalla condanna della Corte europea dei diritti umani per le condizioni disumane di vita nelle nostre carceri e a due anni dalla chiusura dei lavori degli Stati generali sull’esecuzione della pena voluti dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, la riforma dell’ordinamento penitenziario è saltata.

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Lo scorso 22 febbraio il Consiglio dei Ministri ha deciso di non decidere, lasciando in naftalina la tanto attesa riforma. Così nessuna nuova norma sulle misure alternative, sulla salute, sulla qualità della vita dentro. Ha vinto la paura. Hanno vinto gli imprenditori della paura.  Ha vinto Matteo Salvini con il suo securitarismo identitario e sovranista. Ha vinto Luigi Di Maio che insultava la riforma definendola l’ennesimo svuota-carceri. Ha vinto chi in Forza Italia ha sposato tesi leghiste. Ha vinto chi nel Governo e nel Partito Democratico era da sempre contrario, soffrendo il percorso riformatore. Ha vinto chi ha spostato l’asse del governo verso posizioni illiberali. Hanno vinto quei sindacati autonomi di polizia penitenziaria che si sono sempre dichiarati contrari a ogni tentativo di umanizzazione della vita penitenziaria e che intendono confinare gli agenti al ruolo di ‘girachiavi’ e i detenuti al ruolo di ‘camosci’. Hanno vinto soprattutto quei magistrati che hanno detto e fatto di tutto per bloccare la riforma nel nome della lotta alla mafia.

Manca oramai del tutto il coraggio delle idee. Le decisioni politiche sono tutte ridimensionate a tattica, melina. Il populismo penale è dottrina imperante. Molti ne sono affezionati. Altri lo subiscono. Pochi lo contrastano.

Per quanto ci riguarda, già dal 5 marzo continueremo a chiedere l’approvazione della riforma, chiunque sia al governo. Volendo si può ancora fare. Le prigioni d’Italia sono regolate da norme vecchie 43 anni. E la loro età si sente tutta. Norme pensate per una tipologia di detenuto nel frattempo profondamente cambiata. Norme scritte quando ad esempio non c’erano gli agenti di Polizia penitenziaria ma il corpo militare degli agenti di custodia. Quando il detenuto tipo era italiano, di origine meridionale. Quando non c’erano detenuti che professavano religioni diverse da quella cattolica. Quando gli operatori erano tutti maschi. Quando c’era un’amnistia ogni due anni. Quando c’erano 2mila omicidi l’anno contro i 400 di oggi. Quando non esisteva internet e non esistevano i cellulari. Nell’ottobre del 2013 era stato intrapreso un percorso riformatore dopo che il Capo dello Stato Giorgio Napolitano aveva inviato un messaggio formale alle Camere.

La paura però fa commettere errori gravi. A dieci giorni dal voto il mondo progressista, laico e cattolico, avrebbe apprezzato il coraggio della riforma mancata. Invece chi ha deciso di non decidere ha dato ragione ai populisti, ai reazionari, ai cultori del securitarismo. Ha deciso di assecondare gli imprenditori della paura.