Martedì sera il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan si sono incontrati a Sochi, in Russia, per siglare il patto di ferro sulla situazione nel nordest della Siria, dove dal 9 ottobre era iniziata l’operazione militare turca Fonte di pace. L’incontro è coinciso con la fine della tregua concordata il 17 ottobre tra Stati Uniti e Turchia, che prevedeva la sospensione degli attacchi turchi per cinque giorni e allo stesso tempo il ritiro dei curdi siriani da un’ampia zona di confine tra Siria e Turchia.
Al termine della riunione di martedì, Putin ed Erdoğan hanno prolungato di 150 ore la tregua, dando altro tempo ai curdi per lasciare i territori lungo il confine con la Turchia, in una zona larga circa 30 chilometri: è il cosiddetto ‘corridoio di sicurezza’ che Erdoğan aveva detto di volere creare come obiettivo.
La Russia ha inoltre riconosciuto il controllo turco nella zona compresa tra Tal Abyad e Ras al Ain, dove si erano concentrati finora gli sforzi militari della Turchia nel nordest della Siria. In tutto il confine al di fuori di quest’area russi e turchi compiranno delle operazioni di pattugliamento congiunte, ad eccezione della città di Qamishli.
Di fatto questo accordo che i protagonisti non stentano a definire ‘storico’ non è altro che la dimostrazione che i curdi dopo essere stati scaricati da Trump sono stati traditi da Putin.
L’impressione di diversi osservatori è che l’accordo tra Putin ed Erdoğan è stato soprattutto una vittoria russa. L’accordo è positivo anche per la Turchia, che è riuscita a raggiungere lo scopo principale della sua operazione: liberare le aree di confine dai curdi senza il rischio di scontrarsi con paesi amici come la Russia. Quanto ai curdi siriani, saranno riassorbiti nella Siria di Assad. E del modello democratico di Rojava non rimarrà più nulla.