I Paesi di Visegrad bloccano, Paesi Ue agiscono da soli
I Ventotto paesi dell’UE hanno spiegato lunedì 14 ottobre che le operazioni militari turche in Siria stanno avendo «drammatiche conseguenze», in particolari umanitarie. E fin qui è un’evidenza.
Pur condannando l’azione turca, i ministri degli Esteri, riuniti in Lussemburgo per la consueta riunione mensile, non sono riusciti a mettersi d’accordo su un embargo europeo contro le vendite di armi alla Turchia, come invece proposto dalla Francia, dalla Germania (più cauta) e in ultimo anche dall’Italia. La paura di molti paesi – in particolare quelli del blocco di Visegrad – è di scatenere la reazione della Turchia che ha già minacciato di lasciare scappare verso l’Europa le migliaia di rifugiati che attualmente hanno trovato riparo sul proprio territorio.
Alla fine i paesi membri si impegnano ad avere posizioni nazionali forti a proposito delle loro politiche di esportazione di armi verso la Turchia, si legge in un comunicato ufficiale. Si riafferma quindi un’Unione che è somma di singole volontà e non voce unica.
Prima della riunione il ministro degli Esteri spagnolo e futuro Alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza, Josep Borrell, aveva avvertito che «è difficile giungere ad accordi unanimi», ricordando che con la Turchia ciascun paese membro ha firmato accordi puramente nazionali. Posizione realista ma imbarazzante, che afferma – di fatto – che gli accordi commerciali dettano la politica estera dei Paesi anche in condizioni di estrema gravità.
Nel fine settimana, sia la Francia che la Germania avevano annunciato di voler congelare le loro esportazioni di armi verso la Turchia. Nei fatti però la loro scelta non è stata seguita da molti partner europei.
Dal canto suo, il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio ha annunciato che Roma varerà un decreto ministeriale per bloccare l’export di armi. Si tratta di uno stop «ai prossimi contratti e ai prossimi impegni», ha precisato l’uomo politico a margine della riunione ministeriale. È da ricordare che le commesse in campo militare hanno spesso tempi lunghi, e che quindi l’impatto della scelta dei paesi che hanno deciso l’embargo non si farà sentire rapidamente. Per essere chiari di tratta di un export che vale 362 milioni. La più recente relazione sull’interscambio italiano di armi con il resto del mondo, pubblicata dalla Presidenza del Consiglio e inviata al Parlamento italiano in aprile, rivela che per l’industria italiana la Turchia è attualmente il terzo mercato di destinazione, dietro al Qatar e al Pakistan e davanti agli Emirati Arabi Uniti. Nel 2018, il paese ha venduto ad Ankara fino a 362 milioni di euro di armi, rispetto ai 266 milioni del 2017 e ai 133 milioni del 2016.