Dichiarazione di Francesca Chiavacci, presidente nazionale Arci
Con la chiusura dell’inchiesta bis aperta nel 2014 dalla Procura di Roma si è forse arrivati a una svolta sulla morte di Stefano Cucchi, avvenuta otto anni fa. La Procura ha infatti contestato il reato di omicidio preterintenzionale ai tre carabinieri che avrebbero “spinto e colpito con schiaffi e calci Stefano facendolo violentemente cadere in terra” durante la procedura di fotosegnalamento.
Con loro sono stati accusati di calunnia l’allora comandante della stazione dei carabinieri Appia (quella che, nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009, aveva proceduto all’arresto) e altri due carabinieri, a cui viene contestato anche il reato di falso verbale di arresto. Con il cambio di imputazione (i carabinieri cui viene ora contestato l’omicidio erano stati a lungo indagati per lesioni personali aggravate, mentre agli altri tre veniva contestata la falsa testimonianza ora diventata calunnia) che aggrava la posizione degli indagati e soprattutto fuga il rischio della prescrizione, comincia finalmente una nuova storia. Stefano non si è lasciato morire di fame e di sete, né è deceduto per una crisi epilettica, come si è tentato di far credere, ma per le percosse subite.
Su una morte finora senza responsabili, si comincia speriamo a far luce.
Il merito di questa svolta va alla resistenza e alla tenacia di Ilaria, la sorella di Stefano, che non si è mai rassegnata a una verità di comodo.
A lei, ai suoi familiari, va la nostra solidarietà con la speranza che si arrivi presto a una sentenza che faccia finalmente giustizia e sgombri il campo dalle menzogne.
Roma, 17 gennaio 2017