
“Siamo in piccole celle, pressati
Senza la luce del sole
Chiuse le porte di ferro serrate.
E ovunque io guardi, non vedo che italiani”
Fadil AL Shalmani , deportato libico a Favignana, 1912
Pochi lo sanno, anche perché non ce n’è traccia nei libri di scuola, ma c’è stato un tempo in cui l’Italia deportava nelle piccole isole gli oppositori libici alla colonizzazione della loro terra e ve li lasciava morire. Le stesse isole in cui verranno poi confinati gli antifascisti, tra cui Antonio Gramsci. È una delle tante vergogne nascoste della storia coloniale dell’Italia prima liberale e poi fascista.
È iniziato nel 1911 quando, dopo la sconfitta di Shara Shatt, l’occupante rispose con una “Caccia all’arabo” e l’esecuzione sommaria di migliaia di persone. Altre, forse 4000, furono frettolosamente imbarcate senza processo per Favignana, le Tremiti, Gaeta e per Ustica. Le deportazioni continuarono negli anni seguenti fino ad almeno il 1934.
Non erano solo oppositori trovati con le armi in pugno o dissidenti, ma anche semplicemente persone influenti, professionisti o semplici passanti rastrellati a casaccio. L’Italia decapitava così la società tripolina nella speranza di impedire una resistenza che invece puntualmente riprese nel 1915 con la “grande rivolta araba”.
Le condizioni di detenzione furono durissime, come testimoniato dalle poesie scritte durante la prigionia da Fadil al Shamani, poeta e partigiano di Tobruk deportato nel 1912. Almeno un terzo dei deportati ne morirono.
Questa storia è una macchia nel passato del paese non solo per esserne stata responsabile, ma anche per averla occultata, come per i tanti altri crimini dell’impresa coloniale italiana in Libia, come in Etiopia, in Eritrea, in Somalia o nei Balcani.
L’occultamento della memoria coloniale, oltre che un oltraggio alle vittime, è stato ed è una negazione del diritto degli italiani e delle italiane a conoscere la propria storia. Ma siccome la storia lascia tracce, c’è a Ustica un piccolo cimitero in cui i deportati libici morti in prigionia venivano seppelliti. E dimenticati.
Per questo andremo a Ustica nel prossimo maggio (15-18 maggio) a deporre un fiore su quelle tombe e piantare un ulivo e invitiamo tutti e tutte ad andare insieme.
- Per rendere omaggio alle vittime del colonialismo italiano a cui nemmeno la Repubblica ha ancora chiesto scusa.
- Per rendere nuovamente visibile un pezzo della nostra storia per troppi anni nascosto.
- Per ricordare il confino degli antifascisti italiani.
- Perché ripudiamo e denunciamo il colonialismo, italiano ed europeo, anche in tutte le forme in cui continua ad esprimersi oggi.
Lo faremo per assumere la nostra responsabilità, e per chiedere che lo Stato si assuma la sua, anche con la istituzione di una “Giornata della memoria delle vittime del colonialismo italiano”.
Partecipano (in aggiornamento):
Un Ponte Per | Arci | Rete Yekatit12/19Febbraio Italiani senza cittadinanza | Unione degli Universitari Anpi | Cgil |Convenzione per i diritti nel Mediterraneo L’Altra Storia APS | Centro Studi e documentazione isola di Ustica…
Programma di massima (in evoluzione)
Ustica 15-18 maggio 15 maggio Arrivo in nave da Palermo e accoglienza 16 maggio Incontro con l’isola, i suoi studenti, la sua storia, la storia delle deportazioni coloniali e del confino fascista. 17 maggio Corteo sui luoghi della deportazione e del confino. Visita al cimitero dei deportati libici, cerimonia di omaggio con apposizione di una targa e piantumazione di un ulivo. Sera: Reading delle poesie di Fadil al Shalmani. 18 maggio Ritorno.
Tutti e tutte possono partecipare.
Per informazioni, adesioni e per partecipare:
decoloniale@unponteper.it