Sono 5 milioni i palestinesi che vivono nei campi profughi. Vivono negli stessi territori palestinesi occupati, nella Striscia di Gaza, dove l’90% della popolazione appartiene a questa categoria, e vivono in Libano, in Giordania e in Siria, da cui però sono fuggiti a seguito del conflitto, rifugiandosi appunto nei paesi limitrofi. Tutte queste persone abitano in campi a loro dedicati, che dagli anni 50 hanno un perimetro di estensione definito, le cui abitazioni sono state ampliate in altezza per far fronte alle necessità di spazio date dall’aumento della popolazione.
Negli ultimi anni il campo di Chatila a Beirut è divenuto sempre più un grande alveare in cui sono stati accolti migliaia di palestinesi siriani. Fogne a cielo aperto, scuole sovraffollate con doppi o tripli turni giornalieri, impianti della luce fatiscenti e improvvisati, servizi insufficienti, disoccupazione giovanile e un disagio diffuso che spesso sfocia in piccola criminalità. Questo è l’attuale contesto dei campi palestinesi oggi e in una situazione di estrema necessità, di emergenza, gli Stati Uniti, principale finanziatore dell’agenzia delle Nazioni Unite UNRWA, decide di tagliare completamente il suo finanziamento. L’UNRWA ha in affitto la terra su cui sono nati i campi e fornisce i servizi di base, educazione e supporto sanitario, in questo contesto così complesso.
È questo l’ulteriore passo che l’amministrazione USA sta facendo per dare forza alle posizioni di Israele: colpire i profughi palestinesi per cancellare il loro ‘diritto al ritorno’, sancito dalla risoluzione 192 delle Nazioni Unite, un elemento che non coincide con il piano di Israele stato ebraico, ormai apertamente dichiarato, né con un giusto processo di pace, ormai sempre più lontano.