Il provvedimento del Governo approvato nei giorni scorsi in Consiglio dei Ministri in materia di immigrazione e sicurezza è già sbagliato per questioni “di metodo”: la prima è che da sempre diciamo che abbinare il tema sicurezza a quello dell’immigrazione presenta questo fenomeno come un tema di ordine pubblico, e quindi produce paura, incertezza, induce una rappresentazione sbagliata e fuorviante.
La seconda è che si tratta di un decreto: cioè un atto che si promulga, di solito, di fronte ad un’emergenza, a una straordinarietà, che i numeri ci dicono non esistere. Una norma che avrà invece conseguenze gravissime nei confronti dei rifugiati e dei migranti presenti nel nostro paese, e che è anche, nello stile a cui ormai ci hanno abituato, una sorta di “proclama ideologico”, un messaggio che culturalmente continuerà ad influire sulla percezione e il racconto che del fenomeno dell’immigrazione (purtroppo da molto prima che esistesse questo Governo) si è voluta dare nel nostro paese. Oltretutto, si inserisce in un quadro di attività del Governo che non si è caratterizzato per tempi così rapidi nella risoluzione dei problemi (al di là degli annunci e dei proclami sui social), e che ha sicuramente anche l’obiettivo di spostare l’attenzione rispetto a questioni importanti e concrete che riguardano la vita dei cittadini italiani, di carattere economico e sociale che, ad oggi, non paiono trovare grandi soluzioni, per esempio, nei primi annunci sulla legge di stabilità.
Il decreto tra l’altro apre la strada ad aste sui beni confiscati alle mafie, prefigurando scenari pericolosi.
La visione secondo la quale i migranti costituiscono “un pericolo”, se non “il pericolo”, trova drammaticamente una soluzione che tocca concretamente la sfera del diritto, sancendo norme palesemente contrarie ai principi contenuti nella Costituzione. Per questo ci siamo appellati al Presidente della Repubblica, massimo garante del rispetto dei principi costituzionali, affinché non firmi un simile provvedimento.
Il decreto riduce e ridimensiona (aprendolo solo ai minori e ai titolari di permesso di soggiorno) il sistema di accoglienza dello SPRAR, che ha garantito in questi anni l’integrazione all’interno delle comunità locali dei rifugiati e dei richiedenti asilo, e lo ha fatto attraverso una gestione trasparente. Preferisce invece puntare sui grandi centri, che hanno sempre un impatto difficile e talvolta negativo sui territori e sulle comunità.
Insomma, un’idea di riduzione, ma soprattutto di dequalificazione dell’accoglienza, che sappiamo essere foriera di tensione sociale, di conflitto. Un’idea che favorisce la ghettizzazione dei richiedenti asilo, il business di soggetti incompetenti e la corruzione che ne deriva.
In perfetto stile con tante altre proposte (la possibilità di un più facile acquisto delle armi per i cittadini, la modifica delle norme sulla legittima difesa), che si ispirano a un’idea di società chiusa e sospettosa, inquinata da false rappresentazioni della realtà, distruttiva del senso di comunità e della coesione sociale.
La nostra associazione si è mobilitata e si mobiliterà per ribadire la necessità di rafforzare il diritto d’asilo in Italia, non di cancellarlo, e di sostenere i percorsi di inclusione sociale garantiti dalla rete d’accoglienza Sprar.
Non ci spaventa la consapevolezza del fatto che è una battaglia che ha la necessità di farsi capire, di ristabilire delle verità tra le tante bugie che su questo tema si sono costruite: e partiremo proprio dalle buone pratiche che in questi anni abbiamo costruito insieme a tanti Enti Locali e al nostro mondo associativo.