L’8 marzo, come lo scorso anno, Non una di meno ha lanciato lo sciopero globale delle donne, con l’invito ad astenersi dal lavoro e partecipare alle iniziative sui territori. Da #metoo a #WeToogether: un grido comune per esprimere, ancora una volta e insieme, il rifiuto della violenza maschile in tutte le sue forme. Una risposta collettiva alla solitudine delle tante donne che ogni giorno subiscono violenza, soprattutto in casa e sul posto di lavoro, e un modo per ribadire che le donne non si sentono e non vogliono essere vittime: uno sciopero per ricordare la propria forza, capacità di solidarietà e di azione comune.
L’anno appena trascorso ci riconsegna un’immagine della violenza deformata dai media, quasi mai all’altezza di una narrazione equilibrata e veritiera. Dagli attacchi mediatici alle artiste che hanno avuto il coraggio di denunciare pubblicamente le molestie sul posto di lavoro, paradossalmente accusate di «poterselo permettere», alla colpevolizzazione delle più giovani che hanno denunciato stupri e violenze, fino ai distinguo tra il violento straniero e quello italiano, parte delle cui responsabilità vengono costantemente addossate alle vittime.
Ma la narrazione mediatica, purtroppo, non potrebbe essere diversa in un Paese che nelle proprie politiche pubbliche non riconosce il ruolo delle donne, che nel proprio welfare non può fare a meno del loro lavoro ma non lo valorizza, che permette quotidiane e striscianti forme di discriminazione nei confronti delle lavoratrici.
La politica italiana, ci consegna, poi, un Parlamento specchio di un Paese, in cui l’equilibrio di genere è lontanissimo, gli strumenti per contrastare la violenza continuano a essere pochi e spuntati, in cui sembra impossibile una diversa rappresentazione delle donne e appaiono chimere un loro diverso protagonismo e la possibilità di interpretare ed esercitare il potere in maniera diversa.